CONTRO L'”ASSOLUTO RELATIVO” – I “giovani”, Moni Ovadia e la vita integra

7 dicembre 2007 at 10:15 6 commenti

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Mi chiamo Federico e ho 18 anni: sono dunque un giovane. Uno di quei tanti ragazzi che le testate nazionali giornalistiche e i media in generale descrivono come drogati, violenti, che si fanno le cosiddette “canne” o invadono uno stadio. No, non è così, questa è una descrizione inappropriata che i giornali e le tv ci propinano tutti i giorni, ma che non corrisponde per nulla alla realtà. La maggior parte di noi invece, e lo posso dire con cognizione di causa in quanto frequento la classe quinta di un liceo scientifico, sono proprio l’opposto, persone che non si sono mai “sballate” una volta, educate, rispettose della vita propria e altrui.

Certo nessuno è santo, tutti vogliamo divertirci, ma c’è modo e modo di farlo. Io e tanti altri abbiamo detto NO alle canne, NO alla violenza di qualsiasi genere, NO alla maleducazione, con cui purtroppo, per colpa delle bravate di pochi, veniamo identificati. 

Non è moralismo, è una questione di civiltà, educazione, cultura ma soprattutto di Vita. La vita è un dono e, retorica a parte, io come altri crediamo fermamente non vada sciupata. Purtroppo l’informazione è pressoché nulla, ma i pericoli che si corrono prendendo il vizio delle canne sono innumerevoli: da quello principale di salute, al rischio (e purtroppo la percentuale di questi casi è molto alta) che si passi a droghe ben più pesanti con conseguenze immaginabili.

Ma, come dicevo, siamo accusati non solo di drogarci, ma di ogni sorta di perversione: secondo “loro” andiamo allo stadio per far del male, ci ubriachiamo di continuo, non rispettiamo niente e nessuno. Anche a questo io, assieme a molti altri, ho detto No. Un No che significa No all’eccesso.

Chiariamoci: in discoteca vado anch’io, vado a ballare, esco la sera, sto con tanti ragazzi e ragazze della mia età e ci divertiamo, ma quello che mi sento di dire è che l’eccesso non va bene in nessun caso. Mi diverto, ballo e rido con i miei amici ed amiche, certo anche persone che conosco commettono le azioni appena descritte, ma siamo altrettanti che ci divertiamo, coscienti che c’è un limite a tutto. Amiamo la musica e ogni espressione di arte, è questo secondo me il miglior modo di esprimersi e di comunicare. Quindi niente moralismi e retoriche che non servono a granché.

Leggo, vedo e sento di bambini, ma anche adulti, morti per colpa di automobilisti alcoolizzati, e ciò fa veramente pensare. E’ orribile ed egoista guidare con la consapevolezza di aver bevuto troppo, mettendo a repentaglio non solo la vita di altri, ma persino la propria. Bere di per sé non è vietato, ballare nemmeno, i ragazzi hanno diritto alla spensieratezza, ma devono anche essere consapevoli dell’unicità della vita, una volta buttata nessuno ce la restituisce…

Federico Diatz – La Spezia

Pier Paolo Pasolini l’aveva compreso già nel 1960: i “giovani” non esistono. Appartengono alla categoria dell’astrazione, del mito; “giovane” è un aggettivo e, come tale, riferibile a persone, animali, cose. Viviamo, del resto, nella civiltà (?) degli aggettivi, i quali, a differenza dei sostantivi – che, come da etimo, indicano sostanza -, si adattano a tutto (ed è il loro fascino) e a nulla (e in ciò sta il loro limite). Costituiscono l’emblema dell’irrisolto, del non-concluso, del relativo. Il “giovane” non è mai soltanto “giovane”: prima di quest’ultimo, dietro quest’ultimo, esiste un uomo, una donna, una farfalla, una pietra, ciascuno con la sua impareggiabilità.

Sopra e in basso: alcune immagini di Moni Ovadia.

Ieri sera a Bresso, la cittadina in cui vivo, Moni Ovadia ha incontrato i “giovani”. Lo ha fatto al Centro Anziani. Ed erano presenti tutti, compresi, figuriamoci!, quelli di mezz’età. Regolare. Perché, se è vero che “il futuro è nei giovani”, è ancor più vero che l’ossatura di quel futuro si trova nel passato, il quale, a sua volta, attesta e dona significanza all’oggi.

Il “giovane” è un’invenzione del giovanilismo. E il giovanilismo è una caricatura della gioventù. Tutti i regimi dittatoriali declamavano di puntare molto sui giovani: i giovani balilla, i giovani hitleriani, i giovani di Stalin, i giovani di Pol Pot fino ai giovanissimi talebani, istruiti da un Vecchio della Montagna di soli 50 anni.

Tutta questa gente enunciava di amar molto i “giovani”; e non mentiva; amava la loro parzialità materiale, la loro vitalità diffusa, il loro corpo ingenuo e sano, per mandarli a combattere nelle sue guerre, per farli suicidare in nome di un eterno immanente e blasfemo, e magari per eliminarli con le sue stesse mani, non appena si accorgeva di non poterli incasellare nelle regole d’uno Stato maschiamente monocorde.

Anche il nostro “mondo occidentale” esalta di continuo i “giovani”. “Life is now” è diventato la parola d’ordine (imposta) delle nuove generazioni. Cogli l’attimo. “Ma attenzione – ha avvertito Moni – la pubblicità non invita a cogliere la bellezza del momento, cioè la sua sacralità. Quella che Federico chiama dono della Vita (significativamente, con la maiuscola). Questo slogan, ha proseguito Ovadia, non va inteso in senso faustiano: “Faust afferra l’attimo perché ne coglie il senso e ha chiesto il sapere. Oggi, invece, con quella frase si toglie al ‘giovane’ la consapevolezza del passato e la prospettiva del futuro. La vita va vissuta con un progetto. Se si vive l’attimo, non è possibile. In pratica ‘Life is now’ significa ‘Sei morto’.

L’operazione per rendere l’essere umano un consumatore acritico consiste in questo smembramento, in questa categorizzazione ossessiva, nella moltiplicazione degli aggettivi, delle parzialità, dei tasselli impazziti d’un mosaico mai ricomposto: “La società dei consumi non coltiva più l’intuizione dell’illuminato Buddha che, a 27 anni, capì che la vita è integra. Di conseguenza la teoria che il “giovane” è diverso dall'”anziano” con cui, anzi, non ha niente in comune, è un solenne inganno. “Assistiamo al fenomeno che Baudrillard denominava ‘l’assassinio della realtà – ha incalzato l’attore – e che si perpetra attraverso una serie di assassini preventivi, fra cui quello delle stagioni, e quello del tempo”. Le stagioni non fungono più da baricentro dei nostri ritmi naturali e spirituali, non solo per l’effetto serra che sta annullando il fascino della loro rapinosa diversità; ma anche per l’inventiva senza fantasia dei viaggi organizzati, che vendono inverni caldi in esotici paradisi plastificati, togliendo non il gusto, ma il realismo dell’impraticabile attesa. Il tempo, poi, è polverizzato: “L’ultima oasi al riparo della logica di produzione e consumo rimaneva la festa. Naturalmente già nella prima fase del capitalismo si era diffusa l’idea che il ‘tempo libero’ dovesse essere monetizzato: si pagava per divertirsi, per andare a ballare, al cinema, al bar… Adesso, gli ipermercati sono aperti anche nei giorni festivi. E’ del tutto logico: il tempo s’impiega, si compra”. Non casualmente si parla di “ammazzare il tempo”. La “spensieratezza” cui allude Federico va intesa come freschezza dell’animo piuttosto che come evasione da responsabilità che investono anche chi si affaccia all’alba della vita. E proprio per sfuggire a questa reificazione continua, secondo Moni, la Bibbia considera il sabato un giorno sacro, dove lavorare e produrre è assolutamente vietato a uomini, donne, schiavi, stranieri, e persino ad animali, piante, terra! E non si ascolta la radio, non si guarda la tv. No. Si ascoltano storie. Si canta. Si studia. Si parla in famiglia. Chi è solo viene ospitato da altri. Il rito celebra lo stare insieme. Si fanno, insomma, gli esseri umani.

I rotoli della Torah, “culla” della saggezza ebraica.

Se in una famiglia s’impara il dialogo, ci si riappropria del tempo, si conosce la propria storia, si sa andare indietro, la coscienza via via si rafforza: “E allora si potranno sfruttare anche i videogiochi, le conquiste della scienza e della tecnica, le comodità che abbiamo inventato e che così malamente utilizziamo, ben sapendo però che si tratta di mezzi e non di fini, anch’essi con la loro storia e il loro limite”.

L’essere umano è integro. La sua parcellizzazione (in giovane, anziano, bianco, nero, cristiano, ebreo, musulmano…) serve soltanto a chi ci vuole sfruttare.

I “giovani” non sono tutti perdigiorno senza valori? Ma questo, alle società giovaniliste e ai loro lacché dell’informazione non interessa affatto. Il “life is now” consiste, innanzi tutto, nell’instillare sfiducia in sé e in chi ci attornia. Non c’è nulla prima, non ci sarà nulla poi, acciuffiamo il più fugace dei momenti, l’estetico e l’apparenza, conquistiamolo a qualsiasi costo prima di rientrare nel buco nero dell’insipienza, e se non ci riusciamo, tanto vale andare in malora subito, e con noi gli altri “scarti” che ci attorniano e che riteniamo nostri intollerabili specchi accusatori. Ci s’impantana nella torbida morbosità, come rane senz’occhi, non domandandosi ovviamente le ragioni di tali fenomeni, perché ragioni non se ne devono cercare.

Il “giovane”, secondo questa logica, esiste solo se privo di sé. Come un muto coriandolo impazzito. Il “giovane” appena normale – umano, intero, cioè – va censurato. Sterminato, anche sull’altare del tanto celebrato “lavoro”: “E trionfano i call-center – denuncia ancora Ovadia – pseudo-attività indegne di un essere umano, a maggior ragione d’un ‘giovane’. E’ giovane, si dice, ‘si farà’. Ma farà cosa? Un giovane non ha forse il diritto a crearsi una casa, una famiglia, una vita propria? Come può farlo con 32 euro al giorno? ‘Life is now’: questa è una mancia, o piuttosto un’elemosina – pelosissima, però – che strozza qualsiasi progettualità, anche minima. Altrimenti resta l’opzione d’una carriera competitiva, da lupi, dove vieni bruciato in cinque anni, per ritrovarti poi quarantenne, bulimico di giorni obesi e disperati”.

L’uomo, però, avverte il bisogno della gratuità scomparsa, perché solo quest’ultima ci rende pienamente noi stessi. Un abbraccio, un sorriso senza aspettarsi nulla, l’affetto spontaneo dei genitori. Per questo, oggi, moltissima gente fa volontariato. Moltissimi “giovani”. “Loro” non ne parlano, è vero. Non gli conviene. Non aspettatevi nulla da “loro”. Ma ci si aspetta molto da voi. Tutto. Fatevi sentire. Un coro vi risponderà.

Daniela Tuscano 407142083_7e3fbe69b7_m.jpg

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6 commenti Add your own

  • 1. gianna  |  7 dicembre 2007 alle 17:45

    Ovadia è uno dei più grandi artisti di tutti i tempi… preziosissima la sua testimonianza. Grazie per averla condivisa con noi

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  • 2. Marisa  |  7 dicembre 2007 alle 21:31

    L’alternativa ad un mondo di plastica,di violenze continuate, di illusioni alimentate…..parte sempre da noi, singoli; tessere la tela con fiducia e pazienza, legando i nostri fili colorati e forti a quelli di altri come noi.Mi è piaiuta questa tua pagina, grazie e ciao. Marisa

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  • 3. oroboros  |  7 dicembre 2007 alle 21:38

    Non è mia la visione del giorno dedicato a essere uomo. Sei di Bresso, io ero di Quarto Oggiaro, prima di trasferirmi tra i monti dove vivo. Peccato non averti conosciuta (senza malizia naturalmente). Ciao e stai forte (e bene)… 😉

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  • 4. apogea2  |  7 dicembre 2007 alle 22:43

    Tutta la verita’ nient’altro che la verita’. Cosa diventera’ l’essere umano? Il risveglio si fa attendere, le coscienze son sopite, anestetizzate…al piu’ presto, prima che sia troppo tardi. Lu

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  • 5. Soraya  |  18 dicembre 2007 alle 11:09

    … se è vero che “il futuro è nei giovani” , è ancor più vero che l’ossatura di quel futuro si trova nel passato, il quale, a sua volta, attesta e dona significanza all’oggi.

    questa è la frase più bella di tutto il tuo post… la farò leggere a mio nonno, ne sarebbe fiero, lui che dice che noi giovani siamo cosi ingrati rispetto a tutto quello che le generazioni passate hanno costruito e sedimentato per noi…

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  • 6. omar  |  9 aprile 2010 alle 19:21

    ciao qualcuno mi sa trovare un articolo su moni ovadia che parli del senso della festa, perchè mi aveva molto affascinato ma non lo trovo più.In questo articolo moni ovadia si contrappone al consumismo e cita le frasi life in now e time is money

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