TRASLOCO…

Detto, fatto: come avevo anticipato nel post precedente, anche per me è arrivato il momento di cambiare sede. Non abbandonerò del tutto questo blog, che mi ha dato tanto e a cui sono molto affezionata; continuerò a visitarlo periodicamente e chi vorrà potrà lasciarmi ancora commenti, sia ai vecchi articoli, sia soprattutto qui . Ma ancor più spero vogliate seguirmi nella mia nuova “casa”, che trovate a questo indirizzo: Di me, l’altra metà . [E poiché nel nuovo ho qualche difficoltà coi banner, segnalo da qui che POTETE VOTARMI come MIGLIOR BLOGGER   MigliorBlog.it ] .

Non mancate, mi raccomando! Un grande saluto dalla vostra inossidabile

Daniela Tuscano                     

9 gennaio 2008 at 9:14 6 commenti

PIZLAND – L’OroscoPizza Perpetuo!

Diciamolo francamente: li leggiamo tutti, sempre, ma non c’azzeccano mai. Mi riferisco ai vaticini, letture astrologiche, previsioni cosmiche, aruspici, insomma agli oroscopi dell’anno nuovo. In questo periodo impazzano i vari Starman-Maga Maghella-ZipZap con le loro stralunate capacità divinatorie (chessò, fine di tutte le guerre, Bush in esilio su Marte, scudetto all’Audax Bresso). Laughing In fondo, finché si attengono alle panzane in senso stretto, sono anche divertenti (eppure ricordo che anni fa una rivista “specializzata” annunciava a tutta pagina: “1992, sconfitto l’Aids”. Da sedia elettrica). Mad Io comunque vado sul sicuro e vi offro un OroscoPizza che almeno ha il pregio di poter essere riciclato ogni anno senza tema. Oh, lo so, mancano dei gusti fondamentali (pizza alla napoletana, secondo me sublime, alla siciliana, capricciosa…) mentre hanno strizzato fin troppo l’occhio a quella che in passato veniva definita “nouvelle cuisine” – ‘na ciofeca, la pizza al philadelphia se la mangino loro! puke_l – ma questo ho trovato, e questo vi regalo. Domattina parto per la montagna, torno all’Epifania, o con la Befana (no, non sono io, cattivelli…). pottytrain1 Quindi vi saluto tutti adesso. Ciauz – forse con un nuovo blog? – e non strafogatevi…

D. T.

Ariete: Segno di Terra e d’azione, governato da Marte, il focoso Ariete sprizza entusiasmo ed energia da tutti i pori. Combattente innato, per l’audacia a volte avventata che manifesta merita una caldissima Pizza con salame piccante, magari con aggiunta di polvere di peperoncino. 

Toro: Attenti, riflessivi, oculati, per il nostro tranquillo e un po’ pigrotto Toro ci vuole una bella Pizza con panna e prosciutto crudo, un connubio di gusti sani e semplici, come questo segno di Terra, sinonimo di stabilità. 

Gemelli: Il loro elemento è l’aria, hanno una grande capacità di adattamento e sono di agile intelligenza. Niente è più indicato di una Quattro stagioni variegata e fantasiosa, che ben si concilia con la loro creatività e comunicativa. 

Cancro: Per il sensibile Cancro ci vuole una pizza ricca di ingredienti teneri e burrosi. Consigliamo una Pizza stracchino e philadelphia, un’accoppiata di sapori profondi e delicati, ideali per la grande immaginazione dei nostri trasognanti Cancerini. Leone: Il segno è governato dal Sole. I Leoni hanno grande capacità di dominare e padroneggiare, supremazia, ottimismo e senso di ammirazione non gli mancano. Vogliono tutto e allora Pizza mari e monti. Più di così… 

Vergine: Segno di Terra famoso per la precisione e l’ordine. I Verginelli possiedono una mente logica e organizzativa, pochi semplici concetti ma ben chiari e saldi, come la Pizza alla romana: pochi semplici ingredienti ma intensi e saporiti.

Bilancia: Equilibrio, armonia, gentilezza sono i segni distintivi della Bilancia, un segno d’aria cui calzano a pennello le caratteristiche della pizza più famosa: la Margherita, una pizza gentile e armoniosa nella sua equilibrata semplicità. [E’ la mejo… è la mia!!!Wink Razz love1 ]
 

Scorpione: Il suo elemento è l’acqua, governato da Plutone, simbolo di distruzione e rigenerazione, istintivo e impetuoso, decisamente estremista. Consigliamo una Pizza salsiccia e cipolla, ricca di calcarea sulphurica, il sale omeopatico dei nostri Scorpioncini. 

Sagittario: L’elemento fuoco domina il segno. La loro curiosità, il loro spumeggiante ottimismo, i loro inarrivabili slanci sono degni di una croccante Pizza alla marinara guarnita con insalata di mare, calamaretti, cozze e vongole. 

Capricorno: Il Capricorno è segno della tenace e lucida volontà, dell’ambizione concentrata in un unico scopo. Logica, raziocinio e sangue freddo contraddistinguono i nativi del segno. Per loro Pizza fumée, un gusto intenso che soddisfa il loro tenace senso del dovere. 

Acquario: Eccentrici e indipendenti, vogliono libertà d’azione. Si sa, i nostri cari Acquari sono grandi idealisti, anche se un tantino indisciplinati. Per loro la pizza giusta è la 4 formaggi, che offre un connubio di sapori adatto alla loro personalità eclettica e originale. 

Pesci: E’ il segno della sensibilità emotiva, dell’intensa ricettività psichica, della ricerca dell’assoluto con un pizzico d’irrazionalità. Tutto ciò ben si concilia con una croccante Pizza con funghi e panna, un connubio di sapori delicati, intensi e indimenticabili come i nostri cari Pesciolini.

FELICE 2008!!!


__._,_.___

31 dicembre 2007 at 0:06 14 commenti

SAREMO PARITA’

Le letture immediatamente successive al Natale sono quanto di più lontano dall’aura appiccicosa e dolciastra con cui si suole circonfondere questa festa. Dopo la liturgia della Natività gli Atti degli Apostoli ci raccontano un martirio, vale a dire una testimonianza: testimonianza finita, come forse qualcuno ricorderà, nel sangue. Stefano è un giovane, e la sua giovane vita viene stroncata a sassate. Lo accusano di bestemmia. E’ un “irregolare”, un empio. Vicino a lui si trova un altro giovane, davanti al quale i carnefici depongono il mantello della vittima: un certo Saul, “Saulo” come traduce (male) la Concordata, un ragazzo dagli ideali, o forse dall’ideologia, granitica: non ha dubbi né mezze misure, Saul(o). Lo immaginiamo impettito, spavaldo, vanitoso, sicuro di sé e della sua giustizia, inflessibile come un fuso, dalla barba appuntita e curata, lo sguardo tagliente e fisso, con l’espressione trasognata e latebra del fanatico. Il tipico fondamentalista, del quale l’autore degli Atti non manca di sottolineare: “Saul(o) era uno di quelli che approvavano la lapidazione di Stefano”.

Il salmo 30, che ci presenta il grido del povero afflitto, contiene un’espressione potentissima: “Si è spento nel dolore il mio occhio”. Il 28 dicembre, poi, si raggiunge il climax di angoscia col celebre episodio della strage degli innocenti (Mt 2, 13-18).

Enfant Jésus allongé sur la croix

E. Stelzmüller, Il Bambino Gesù steso sulla croce, © MCEM, pittura su vetro.

“Anche a te una spada trafiggerà l’anima”: la profezia di Simeone a Maria, nel Vangelo odierno, è la chiave per comprendere la scelta di queste letture. Ogni nascita è una freccia lanciata nel cielo del mondo. Il nostro. E’ un “atto contro natura” (Ungaretti) e una sfida alla convenzione, una novità di Dio prima ancora che umana. Ogni nascita comporta una morte: la morte del vecchio, delle certezze consolidate, dell’abitudine quotidiana, ma anche la sofferenza e la domanda. L’antica e sempre attuale domanda: amore, e giustizia. Non si dà l’uno senza l’altra. Ecco perché i morti innocenti, di cui i bambini sono un palpabile simbolo, scandalizzano, scuotono e colpiscono: sono il povero dall’occhio spento dal dolore, un dolore provocato dal peccato, dalla perdita di umanità, e quindi di pace, e quindi di Dio – e viceversa.

Perciò i presepi delle nostre chiese pongono là, nell’ultimo orizzonte, appena sfiorato da un balenìo di luce, oltre la città, sopra le dune, tre croci. Perché il tenero bambino finirà lì. Perché lì è il senso ultimo di quella nascita. Perché la risurrezione comporta lo sperdimento d’un corpo conquistato, per una riappropriazione definitiva. Il Risorto porterà impressi su di sé, per sempre, i segni della Passione. Mai verrà cancellato il suo passaggio terreno, l’orma del dolore innocente e, assieme, l’impronta della giustizia per cui questo suolo geme.

L’ultimo, disperato appello lasciato da Iole Tassitani alla migliore amica esprimeva lo stesso dolore e la stessa forza disperante: “Sono stata parità. Intendeva dire “rapita”, ma il vocabolario automatico del cellulare ha tradotto la prima parola memorizzata. Un errore? Non crediamo. “Parità” è la parola più diffusa, ben più di “rapita”. Siamo parità, o meglio, dovremmo esserlo. Iole era stata parità, fin quando l’avevano considerata un essere umano. Poi l’hanno degradata a oggetto, un oggetto di cui disfarsi non appena conquistati altri oggetti, a cui lo sciagurato maschio aguzzino non ha neppure avuto l’incosciente coraggio di sacrificare sé stesso: il denaro. Iole è stata parità fin quando i suoi simili l’hanno vista come la pupilla degli occhi, dell’identico genere umano. Ma, squartata sull’ara di un miserando vitello di stagno, non “serviva” ormai più. Del resto, la prima lettera di Giovanni non potrebbe essere più chiara: chi non ama i fratelli (e le sorelle) non ama Dio. Né – conseguentemente – sé stesso.

Non sono più parità le vittime dello tsunami di cui ricordiamo l’anniversario. Non sono parità i bambini (e gli adolescenti) venduti alle guerre, ai pedofili, al consumismo – e questo significa il fanciullo nella mangiatoia, non il pacioso vecchio rubizzo che nell’immaginario metropolitano l’ha ormai spodestato. Non sono stati parità gli operai della ThyssenKrupp, deceduti l’uno dopo l’altro sempre in nome della reificazione (cfr. ivi, commento n° 6). Non sono parità quei cristiani palestinesi per i quali il Natale non coincide con abbuffanti pandori ma una ricorrenza che può costare la vita. Non è più parità nemmeno Benazir Bhutto. E’ stata una leader controversa; ma ha rischiato per il suo paese e per la democrazia, ben sapendo che i fondamentalisti l’avrebbero potuta uccidere, non tanto perché, secondo loro, serva degli americani ma perché – lo sappiamo bene – “non era parità”: cioè, era donna. Tornerò a parlare di lei. Qui mi preme sottolineare che i fondamentalisti – di qualsiasi religione, e anche di nessuna – odiano le donne. Loro che sterminano i gay sono, per usare un efficace neologismo di Luce Irigaray, i primi uomosessuali. Delle donne non sanno proprio che farsene, sono solo un problema, poiché l’umanità si coniuga con un unico sesso: il loro, naturalmente.

Saremo parità soltanto quando nasceremo, anzi, ri-nasceremo a noi stessi. Le letture, spietate, ci esortano anche alla speranza: se è vero che persino il lapidatore Saul(o) si è convertito, se è vero che dobbiamo anche sopportare questo insopportabile scandalo di misericordia… nel quale annegare la nostra piccola e gretta giustizia. Per una Giustizia che ci assimila ed espande, per cambiare nome. Trasumanare è l’unico modo per renderci ancor degni di abitare questa Terra.

Daniela Tuscano

Dedico a tutte le vite nate/spezzate un brano che mi è piaciuto:

ANNA MAGNANI

Da tegole e calcinacci
verso la vita mi affaccio
indosso il cappotto di mio zio
soldato scampato alla guerra
Passando tra sfollati
e ragazzini in festa
cerco la mia vecchia casa,
i nespoli abbandonati
una acacia modesta
con un bacio apro la porta

E ho in mente
la faccia dell’Italia coi denti stretti
e il sangue che cola
ma il cuore di pietra

Là dove prima vibrava un pianoforte
soltanto polvere e terra
e mi sembra di udire
la voce arsa di Anna Magnani
che infonde speranza

Foglie d’ ulivo argentate
raccontano una Pasqua lontana
il tetto che quasi frana,
una rondine giace senza vita
fra una scarpa e un secchio

E ho in mente la faccia dell’Italia
la statua grigia e vetra di Mazzini
coi suoi lisi taccuini

Là dove prima vibrava un pianoforte
soltanto polvere e terra
e mi sembra di udire
la voce arsa di Anna Magnani
che infonde speranza

E mi sembra di udire
la voce calda di Anna Magnani
che intona una dolce melodia

Adriano Celentano (Testo: Vincenzo Cerami – Musica: Carmen Consoli)

29 dicembre 2007 at 9:54 14 commenti

SE NON VI FIDATE DI BABBO NATALE…

Mancherò da Milano (e dal blog) per diversi giorni. Anticipo quindi gli auguri di Natale a tutti i miei lettori, regalando loro i pensieri che alcuni bambini hanno indirizzato al Coetaneo più illustre. 🙂  E ringrazio l’amica Elisa per l’insostituibile contributo.

Buon Natale  Merry Christmas  Joyeux Noël Froehliche Weihnachten  Feliz Navidad  Feliz Natal חג המולד שמח לכל אחד  عيد الميلاد المرح إلى كل ش خ  Счастливого рождества Neşeli Noel Cestitamo Bozic Gajan Kristnaskon …e molte altre…

D. T.

****

Caro Gesù Bambino, i miei compagni di scuola scrivono tutti a Babbo Natale, ma io non mi fido di quello. Preferisco te.
Sara

Caro Gesù, sei davvero invisibile o è solo un trucco?
Giovanni

Caro Gesù, Don Mario è un tuo amico oppure lo conosci solo per lavoro?
Antonio
Caro Gesù, mi piace tanto il padrenostro. Ti è venuta subito o l’hai dovuta fare tante volte? Io quello che scrivo lo devo rifare un sacco di volte.
Andrea
Caro Gesù, come mai non hai inventato nessun nuovo animale negli ultimi tempi? Abbiamo sempre i soliti.
Laura
Caro Gesù, per favore metti un altro po’ di vacanza fra Natale e Pasqua. In mezzo adesso non c’è niente.
Marco
Caro Gesù Bambino, per piacere mandami un cucciolo. Non ho mai chiesto niente prima, puoi controllare.
Bruno
Caro Gesù, forse Caino e Abele non si ammazzavano tanto se avessero avuto una stanza per uno. Con mio fratello funziona.
Lorenzo
Caro Gesù, a carnevale mi travestirò da diavolo, ciai niente in contrario?
Michela
Caro Gesù, tu che vedi tutto mi dici chi mi ha nascosto l’astuccio?
Marco

Caro Gesù, mi chiamo Andrea e il mio fisico è basso, magrino, ma non debole. Mio fratello dice che ho una faccia orrenda, ma sono contento perché così non avrò quelle mogli che stanno sempre tra i piedi a fare pettegolezzi.
Andrea
Caro Gesù, abbiamo studiato che Tommaso Edison ha inventato la luce. Ma al catechismo dicono che sei stato tu. Per me lui ti ha rubato l’idea.
Daria
Caro Gesù Bambino, grazie per il fratellino. Ma io veramente avevo pregato per un cane.
Gianluca
Caro Gesù, non credo che ci possa essere un Dio meglio di te. Bè, volevo solo fartelo sapere ma non è che te lo dico perché sei Dio.
Valerio
(Foto di Mario Radaelli)
Caro Gesù, i cattivi ridevano di Noè, stupidino, ti sei fatto un’arca sulla terra asciutta. Ma lui è stato furbo a mettersi con tuo padre, anche io farei così.
Edoardo
Caro Gesù, lo sai che mi piace proprio come hai fatto la mia fidanzata Simonetta?
Matteo

Caro Gesù, invece di far morire le persone e di farne di nuove, perché non tieni quelle che hai già?
Marcello
Caro Gesù, la storia che mi piace di più è quella dove cammini sulle acque. Te ne sei inventate di belle. La mia seconda preferita è quella dei pani e dei pesci.
Antonella
Caro Gesù, se te non facevi estinguere i dinosauri noi non ci avevamo il posto, hai fatto proprio bene.
Maurizio
Caro Gesù Bambino, non comprare i regali nel negozio sotto casa, la mamma dice che sono dei ladri. Molto meglio l’iper. Lucia
santa

ULTIM’ORA: MONS. BREGANTINI RISPONDE AI NOSTRI AUGURI. E’ nel cuore di Maria che è germogliato il “sì” all’Amore, fatto VITA per noi. Con Giuseppe e Maria anch’io chiedo, con fiducia tenace, di ripetere sempre più, il mio sì alla volontà di Dio, anche sorretto dalla vostra amabile preghiera.

AUGURI NATALIZI  a tutti voi.
27 dicembre 2007
+ p. GianCarlo M. Bregantini
Vescovo

22 dicembre 2007 at 0:02 25 commenti

PASSIONE

Piace ricordarli così. Nel cono d’ombra della chiesa sconsacrata, mentre lontano, nell’orizzonte spumeggiante, sagome di ragazzi sciamano indolenti come libellule azzurre. Basta un fazzoletto d’erba, una panchina senza tempo, per delimitare il miracolo di due mondi. Il garrulare rallenta e si perde, e persino la luce diventa oro antico, fresca seta. I due amanti emergono dalla sontuosa cornice.

Lui forse la sorregge, e guarda oltre il giardino. Ma la mano gli scompare dentro lo scialle rosa, e il volto è solcato da una beatitudine confortante. Splende una lacrima. Lei si appaga soltanto, e pienamente, di quel contatto. E’ in lui. Dentro di lui. S’inerpica, con una spericolatezza di bimba, fino alle sue labbra. Le sfiora. Le bacia. Risuona, quel gesto, di lucore adamantino. Casto e inebriato nella sua franchezza. Lo desidera, e sarà sua.

Il suo corpo è come un libro di meraviglie, uno scrigno di rubini. Ogni ruga una pagina. Ogni filo d’argento, una chioma di saggezza. Schiuma d’avventurosi mari. Un ticchettio avito nel variopinto, domestico universo di silenzi.

Sono rimasti soli. Saluteranno i figli dopo la visita serale. La mamma udrà i loro passi inghiottiti dall’asfalto. E allora le basterà un sospiro d’occhi, per volgersi al suo Gino. 

Daniela Tuscano

Fermina Daza Giovanna Mezzogiorno amore ai tempi del colera Giovanna Mezzogiorno in L’amore ai tempi del colera (tratto dal romanzo di G. G. Marquez), primo film che mostra una scena d’amore tra due persone anziane.

20 dicembre 2007 at 20:30 10 commenti

QUINTO, NON UCCIDERE

Approvata la moratoria alla pena di morte

“Quinto, non uccidere”

Senza se e senza ma.

D. T.

19 dicembre 2007 at 8:16 5 commenti

PROSEGUIRE – La vita è e resta comunque un dono

“…lo si fa sempre per gli altri, con amore, per festeggiare quel giorno”.

Questo commento al mio post Olio minerale mi ha molto colpito; anche se ignoro fino a che punto l’autore si sia reso conto della portata rivoluzionaria delle sue parole.

Rivoluzionarie, e in controtendenza; almeno, così parrebbe. “Lo si fa sempre per gli altri”. Inaudito. Gli odierni maestri del pensiero, i disincantati hobbesiani del 2000 (privi, naturalmente, della forza morale del filosofo secentesco), i tronfi machiavellini d’orgoglio e spregiudizio, è da parecchio che impartiscono ben diverse lezioni. L’uomo – essi catechizzano – è egotista; non bada che a sé, e al suo benessere – esclusivamente e prepotentemente materiale -. Solo in quest’ultimo, anzi, egli troverebbe una peraltro momentanea soddisfazione alla sua ferina bramosia. Una qualsiasi relazione interpersonale è quindi, secondo tale visione, inconcepibile. E quand’anche dovesse nascere, bisognerebbe diffidarne. Sarebbe sempre frutto d’un calcolo, d’un’attesa, di una pariglia. Egotismo essa stessa. Nulla si fa mai per nulla.

Di qui un’enfasi sul corpo, inteso come congegno bruto di appetiti e molecole; che però finiscono, bizzarramente, per dissolvere e annientare il corpo autentico. Poiché, in verità, non è quest’ultimo su cui si pone l’attenzione, ma sugli oggetti che concupisce; e gli oggetti sono membra morte, sagome inerti. Un’antropologia delle società consumistiche, dunque, non può esistere. Il consumismo è la negazione in nuce d’ogni più elementare umanità. Il consumismo è, piuttosto, antropofago.

Il consumismo ha decretato il trionfo del mercato; ne è figlio e al tempo stesso padre. Al punto di esser divenuto, da mera parola, incontestabile Verbo; se è vero che l’economista Stefano Zamagni, pochi mesi or sono, aveva addirittura proposto di inserire nella Costituzione (il nuovo Vangelo) queste formule rituali: mercato, appunto, e impresa.

Come ogni religione, anche la nuova trinità Consumo-Mercato-Impresa ha i suoi martiri. Li ha ormai da molti secoli. I quali però, a differenza di quelli più antichi, non s’immolano volontariamente. Rassomigliano di più alle vittime (umane, certo) dei riti pagani, ai quali si strappava il cuore ancora pulsante per placare l’ira di spietati dèi.

La nuova trinità minore è molto spietata. Ma volatile.

L’uomo non è previsto. L’uomo come unità, non come assemblaggio, merce o rifiuto, è addirittura un peso. Lo si usa, lo si distrugge. Non mi ha stupita l’impassibilità dei dirigenti (anzi, dei padroni) della ThyssenKrupp, il fatto che non abbiano nemmeno sentito il bisogno di mandare un telegramma di cordoglio alle famiglie degli operai uccisi, la nota di demerito affibbiata a una segretaria uscita per recarsi all’ospedale dai colleghi, la tardiva – e rifiutata – partecipazione ai funerali (celebrati nel Duomo di Torino, cfr. la sottostante foto). Era nella loro logica. Non lo si fa per gli altri. Ma, in fondo, nemmeno per sé. Lo si fa come cose. E le cose non provano nulla.

La destrutturazione dell’uomo, e la sua successiva reificazione, segue dunque tre stadi: dall’affermazione del suo legame indistrutto con l’angusta materia, attraverso la parcellizzazione dei bisogni, per giungere all’esaltazione del bisogno puro e semplice. Senza più il suo soggetto.

“Ricordatevi che siamo uomini”. Questa una delle frasi più ricorrenti udite dalla voce severa, e pur senza odio, degli operai superstiti della ThyssenKrupp. Negli stessi giorni, Muhammad Yunus scriveva: “Attualmente la parola ‘impresa’ indica un’istituzione che si propone di fare soldi massimizzando i profitti. Ma una definizione simile è un insulto per l’uomo, che viene trattato come un robot, una macchina che fabbrica denaro”. E aggiungeva: “L’uomo è molto di più, e la sua vita è fatta anche di attività come accudire gli altri, sacrificarsi, preoccuparsi e tentare di costruire un mondo diverso”. Insomma: “fare per gli altri”.

Se l’uomo è il fine e non il mezzo, la sua felicità autentica non può ridursi nella temporanea soddisfazione individuale, in attesa del definitivo annientamento con la materia. E’ piuttosto il contrario: è nell’arte dell’incontro, nella sperdutezza aurorale, nel rilascio d’amore, che l’uomo si ritrova e si rinforza, e acquista sapienza di sé. L’antropofagosofia consumistico-imprenditoriale è dunque più d’un inganno: è un furto di cuori. Strappati ancor pulsanti, lacerati nelle intimità più misteriche.

Contro questa trinità blasfema nessuna istituzione religiosa, con ossequente seguito di politici devoti, scatenerà un Family Day. E ciò malgrado l’impressionante numero di famiglie distrutte, o mai nate, a causa delle cosiddette morti bianche. Non importa nemmeno che un Pontefice sembri denunciarlo, quando i primi, veri attentatori della pace nel mondo sarebbero, per lui, le famiglie di fatto ed eventuali legislazioni che le proteggano. E che, per timore di contrastare la potente Cina, rifiuta – come qualsiasi, laicissimo e pavido governante capitalista – di incontrare il Dalai Lama . Benedetto XVI ha fama di Papa irremovibile nella difesa dei valori “non negoziabili”: evidentemente è falso. O forse, a parer suo, certi princìpi non sono poi così importanti.

Inutile, pertanto, aspettarsi da loro un aiuto. L’agire per gli altri dipende piuttosto dalla capacità di ognuno di pronunciare il suo “sì”.

Daniela Tuscano

****

TORNIAMO A VICENZA. Nella sordità più totale delle istituzioni, il popolo del “No Dal Molin”  (fra cui gli umanisti) si ritroverà oggi pomeriggio nella cittadina veneta, per proseguire una lotta pacifica, ma decisa e mai interrotta, che continua a dare i suoi frutti.

NATALE PER GLI ALTRI. Il 16 dicembre p.v. Bresso organizza la Giornata dell’Impegno Civile in memoria di Paolo Foglia . In vista del Natale, poi, la Residenza Sanitaria Disabili di via don Vercesi cerca volontari per l’accompagnamento dei degenti alla Messa delle ore 10.00, alla parrocchia della Misericordia. Per info, cliccare qui .

15 dicembre 2007 at 6:10 14 commenti

OLIO MINERALE

In fondo, la mobilità non turbava Antonio più di tanto. Alle chiacchiere degli amici non badava. “Starsene a casa a trentasei anni, come un vecchio, e poi cosa fai?”. Ma lui mica viveva per lavorare. Quanta vita lo attendeva, al fischio della sirena. Tre figli. La più piccola lo rimproverava sempre di rientrare tardi, la sera, e quando varcava l’uscio di casa la trovava già addormentata. Non gli restava che contemplarla in un’inespressa preghiera. Rivolgeva allora alla moglie un riso di tenera sensualità mormorandole brevi, antiche parole: “Somiglia a te”. Sì, a casa avrebbe fatto tutto. Magari avrebbe portato la bimba un po’ più spesso al parco del Valentino, dove le insegnava cos’erano le nuvole. Per poi riscoprire muto, con un sospiro furtivo, l’anfratto in cui anni prima, con la giovane compagna, aveva scherzato e poi, sempre per gioco, l’aveva presa. Con l’ansia gioiosa e ingenua della belva selvaggia, stampandola sull’erba, quasi a nutrirsi della sua concretezza elementare.

E furono nozze di terra. La sua terra. L’umore lussureggiante d’un parco aveva incorniciato i loro baldanti sogni giovanili, lui che sapeva di pendici solatie e di olio.

Image hosted by allyoucanupload.com

Da piccolo, quando la madre gli friggeva le zeppole, nella dispensa semibuia, in grotta di tufo, sentiva che fondeva la vita. Una vita color d’oro. Tutto era divinamente semplice.

Magari, avesse potuto starsene a casa. C’era finito, in quell’acciaieria, come scaricato da un tunnel greve. Quando aveva saputo di essere diverso. Meridionale. Strano, fino a quel momento non si era sentito altro che un uomo. L’avevano poi insaccato in una tuta blu e diligentemente, con impegno e turgore, aveva assolto il suo compito con la docile resistenza d’un equino millenario. Racconto ancestrale e poesia di generazioni. Racchiuso in una sfera d’amianto.

Colata lavica. Ecco cosa gli ricordava l’olio minerale sul quale così spesso scivolava. Perché quell’aggettivo, minerale, lui non l’aveva mai capito. “E’ l’olio delle macchine, Antonio” gli aveva spiegato paziente il caporeparto. Pistoni, carburante. Quella era la loro vita stridente e furiosa. Delle macchine. Divampava, anche. Ma quel caldo non dava vita, non confortava le vene, come l’olio della dispensa materna, che – lo raccontava ai suoi bambini – accarezzava la gola. Deflagrava in bollore combusto, lasciando freddo il cuore terrorizzato.

Ma lui non aveva paura. E quel giorno si era trovato a misurare con lo sguardo ogni angolo, ogni cieco pertugio di quella foresta di ghisa. Foresta pietrificata, strana archeologia metallica. Era l’ultima volta. Presto l’avrebbero lasciato a casa. Ed ecco, sì, ne pativa. Ma solo perché per l’Immacolata non avrebbe neppure potuto racimolare il denaro necessario per comprare alla bambina quella glassa d’argento che tanto desiderava.

Ma sei giovane, ce la farai. Lui non aveva risposto, tenue e tenace come l’equino millenario. Ogni giorno ha la sua pena. Termino qui come fosse l’ultimo e il primo, abbraccio la bambina, abbasso gli occhi. Poi si vedrà.

Ma quel che gli risuonò negli occhi, all’intrasatta, fu un’immensa vampa di sole malato. Un’onda densa e anomala di bollore minerale. Rabbiosa, ferina della sua, malgrado tutto, socratica lontananza. Della sua anima densa e carnale, delle sue vene gagliarde. Lo ghermì per rubargliela, per soddisfare la sua stridula brama di alito eterno. Svanì con lei, rapito, circonfuso, spaziante.

E la gemma dell’Immacolata divenne, per Antonio, il giovedì delle ceneri.

 

 

Daniela Tuscano (www.scrivi.com)

(ad Antonio Schiavone  e ai suoi compagni d’ogni latitudine)

N.B.: Sull’accaduto, Torce flessibili, la denuncia degli umanisti; ivi, comm. n° 5.

8 dicembre 2007 at 8:44 11 commenti

CONTRO L'”ASSOLUTO RELATIVO” – I “giovani”, Moni Ovadia e la vita integra

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Mi chiamo Federico e ho 18 anni: sono dunque un giovane. Uno di quei tanti ragazzi che le testate nazionali giornalistiche e i media in generale descrivono come drogati, violenti, che si fanno le cosiddette “canne” o invadono uno stadio. No, non è così, questa è una descrizione inappropriata che i giornali e le tv ci propinano tutti i giorni, ma che non corrisponde per nulla alla realtà. La maggior parte di noi invece, e lo posso dire con cognizione di causa in quanto frequento la classe quinta di un liceo scientifico, sono proprio l’opposto, persone che non si sono mai “sballate” una volta, educate, rispettose della vita propria e altrui.

Certo nessuno è santo, tutti vogliamo divertirci, ma c’è modo e modo di farlo. Io e tanti altri abbiamo detto NO alle canne, NO alla violenza di qualsiasi genere, NO alla maleducazione, con cui purtroppo, per colpa delle bravate di pochi, veniamo identificati. 

Non è moralismo, è una questione di civiltà, educazione, cultura ma soprattutto di Vita. La vita è un dono e, retorica a parte, io come altri crediamo fermamente non vada sciupata. Purtroppo l’informazione è pressoché nulla, ma i pericoli che si corrono prendendo il vizio delle canne sono innumerevoli: da quello principale di salute, al rischio (e purtroppo la percentuale di questi casi è molto alta) che si passi a droghe ben più pesanti con conseguenze immaginabili.

Ma, come dicevo, siamo accusati non solo di drogarci, ma di ogni sorta di perversione: secondo “loro” andiamo allo stadio per far del male, ci ubriachiamo di continuo, non rispettiamo niente e nessuno. Anche a questo io, assieme a molti altri, ho detto No. Un No che significa No all’eccesso.

Chiariamoci: in discoteca vado anch’io, vado a ballare, esco la sera, sto con tanti ragazzi e ragazze della mia età e ci divertiamo, ma quello che mi sento di dire è che l’eccesso non va bene in nessun caso. Mi diverto, ballo e rido con i miei amici ed amiche, certo anche persone che conosco commettono le azioni appena descritte, ma siamo altrettanti che ci divertiamo, coscienti che c’è un limite a tutto. Amiamo la musica e ogni espressione di arte, è questo secondo me il miglior modo di esprimersi e di comunicare. Quindi niente moralismi e retoriche che non servono a granché.

Leggo, vedo e sento di bambini, ma anche adulti, morti per colpa di automobilisti alcoolizzati, e ciò fa veramente pensare. E’ orribile ed egoista guidare con la consapevolezza di aver bevuto troppo, mettendo a repentaglio non solo la vita di altri, ma persino la propria. Bere di per sé non è vietato, ballare nemmeno, i ragazzi hanno diritto alla spensieratezza, ma devono anche essere consapevoli dell’unicità della vita, una volta buttata nessuno ce la restituisce…

Federico Diatz – La Spezia

Pier Paolo Pasolini l’aveva compreso già nel 1960: i “giovani” non esistono. Appartengono alla categoria dell’astrazione, del mito; “giovane” è un aggettivo e, come tale, riferibile a persone, animali, cose. Viviamo, del resto, nella civiltà (?) degli aggettivi, i quali, a differenza dei sostantivi – che, come da etimo, indicano sostanza -, si adattano a tutto (ed è il loro fascino) e a nulla (e in ciò sta il loro limite). Costituiscono l’emblema dell’irrisolto, del non-concluso, del relativo. Il “giovane” non è mai soltanto “giovane”: prima di quest’ultimo, dietro quest’ultimo, esiste un uomo, una donna, una farfalla, una pietra, ciascuno con la sua impareggiabilità.

Sopra e in basso: alcune immagini di Moni Ovadia.

Ieri sera a Bresso, la cittadina in cui vivo, Moni Ovadia ha incontrato i “giovani”. Lo ha fatto al Centro Anziani. Ed erano presenti tutti, compresi, figuriamoci!, quelli di mezz’età. Regolare. Perché, se è vero che “il futuro è nei giovani”, è ancor più vero che l’ossatura di quel futuro si trova nel passato, il quale, a sua volta, attesta e dona significanza all’oggi.

Il “giovane” è un’invenzione del giovanilismo. E il giovanilismo è una caricatura della gioventù. Tutti i regimi dittatoriali declamavano di puntare molto sui giovani: i giovani balilla, i giovani hitleriani, i giovani di Stalin, i giovani di Pol Pot fino ai giovanissimi talebani, istruiti da un Vecchio della Montagna di soli 50 anni.

Tutta questa gente enunciava di amar molto i “giovani”; e non mentiva; amava la loro parzialità materiale, la loro vitalità diffusa, il loro corpo ingenuo e sano, per mandarli a combattere nelle sue guerre, per farli suicidare in nome di un eterno immanente e blasfemo, e magari per eliminarli con le sue stesse mani, non appena si accorgeva di non poterli incasellare nelle regole d’uno Stato maschiamente monocorde.

Anche il nostro “mondo occidentale” esalta di continuo i “giovani”. “Life is now” è diventato la parola d’ordine (imposta) delle nuove generazioni. Cogli l’attimo. “Ma attenzione – ha avvertito Moni – la pubblicità non invita a cogliere la bellezza del momento, cioè la sua sacralità. Quella che Federico chiama dono della Vita (significativamente, con la maiuscola). Questo slogan, ha proseguito Ovadia, non va inteso in senso faustiano: “Faust afferra l’attimo perché ne coglie il senso e ha chiesto il sapere. Oggi, invece, con quella frase si toglie al ‘giovane’ la consapevolezza del passato e la prospettiva del futuro. La vita va vissuta con un progetto. Se si vive l’attimo, non è possibile. In pratica ‘Life is now’ significa ‘Sei morto’.

L’operazione per rendere l’essere umano un consumatore acritico consiste in questo smembramento, in questa categorizzazione ossessiva, nella moltiplicazione degli aggettivi, delle parzialità, dei tasselli impazziti d’un mosaico mai ricomposto: “La società dei consumi non coltiva più l’intuizione dell’illuminato Buddha che, a 27 anni, capì che la vita è integra. Di conseguenza la teoria che il “giovane” è diverso dall'”anziano” con cui, anzi, non ha niente in comune, è un solenne inganno. “Assistiamo al fenomeno che Baudrillard denominava ‘l’assassinio della realtà – ha incalzato l’attore – e che si perpetra attraverso una serie di assassini preventivi, fra cui quello delle stagioni, e quello del tempo”. Le stagioni non fungono più da baricentro dei nostri ritmi naturali e spirituali, non solo per l’effetto serra che sta annullando il fascino della loro rapinosa diversità; ma anche per l’inventiva senza fantasia dei viaggi organizzati, che vendono inverni caldi in esotici paradisi plastificati, togliendo non il gusto, ma il realismo dell’impraticabile attesa. Il tempo, poi, è polverizzato: “L’ultima oasi al riparo della logica di produzione e consumo rimaneva la festa. Naturalmente già nella prima fase del capitalismo si era diffusa l’idea che il ‘tempo libero’ dovesse essere monetizzato: si pagava per divertirsi, per andare a ballare, al cinema, al bar… Adesso, gli ipermercati sono aperti anche nei giorni festivi. E’ del tutto logico: il tempo s’impiega, si compra”. Non casualmente si parla di “ammazzare il tempo”. La “spensieratezza” cui allude Federico va intesa come freschezza dell’animo piuttosto che come evasione da responsabilità che investono anche chi si affaccia all’alba della vita. E proprio per sfuggire a questa reificazione continua, secondo Moni, la Bibbia considera il sabato un giorno sacro, dove lavorare e produrre è assolutamente vietato a uomini, donne, schiavi, stranieri, e persino ad animali, piante, terra! E non si ascolta la radio, non si guarda la tv. No. Si ascoltano storie. Si canta. Si studia. Si parla in famiglia. Chi è solo viene ospitato da altri. Il rito celebra lo stare insieme. Si fanno, insomma, gli esseri umani.

I rotoli della Torah, “culla” della saggezza ebraica.

Se in una famiglia s’impara il dialogo, ci si riappropria del tempo, si conosce la propria storia, si sa andare indietro, la coscienza via via si rafforza: “E allora si potranno sfruttare anche i videogiochi, le conquiste della scienza e della tecnica, le comodità che abbiamo inventato e che così malamente utilizziamo, ben sapendo però che si tratta di mezzi e non di fini, anch’essi con la loro storia e il loro limite”.

L’essere umano è integro. La sua parcellizzazione (in giovane, anziano, bianco, nero, cristiano, ebreo, musulmano…) serve soltanto a chi ci vuole sfruttare.

I “giovani” non sono tutti perdigiorno senza valori? Ma questo, alle società giovaniliste e ai loro lacché dell’informazione non interessa affatto. Il “life is now” consiste, innanzi tutto, nell’instillare sfiducia in sé e in chi ci attornia. Non c’è nulla prima, non ci sarà nulla poi, acciuffiamo il più fugace dei momenti, l’estetico e l’apparenza, conquistiamolo a qualsiasi costo prima di rientrare nel buco nero dell’insipienza, e se non ci riusciamo, tanto vale andare in malora subito, e con noi gli altri “scarti” che ci attorniano e che riteniamo nostri intollerabili specchi accusatori. Ci s’impantana nella torbida morbosità, come rane senz’occhi, non domandandosi ovviamente le ragioni di tali fenomeni, perché ragioni non se ne devono cercare.

Il “giovane”, secondo questa logica, esiste solo se privo di sé. Come un muto coriandolo impazzito. Il “giovane” appena normale – umano, intero, cioè – va censurato. Sterminato, anche sull’altare del tanto celebrato “lavoro”: “E trionfano i call-center – denuncia ancora Ovadia – pseudo-attività indegne di un essere umano, a maggior ragione d’un ‘giovane’. E’ giovane, si dice, ‘si farà’. Ma farà cosa? Un giovane non ha forse il diritto a crearsi una casa, una famiglia, una vita propria? Come può farlo con 32 euro al giorno? ‘Life is now’: questa è una mancia, o piuttosto un’elemosina – pelosissima, però – che strozza qualsiasi progettualità, anche minima. Altrimenti resta l’opzione d’una carriera competitiva, da lupi, dove vieni bruciato in cinque anni, per ritrovarti poi quarantenne, bulimico di giorni obesi e disperati”.

L’uomo, però, avverte il bisogno della gratuità scomparsa, perché solo quest’ultima ci rende pienamente noi stessi. Un abbraccio, un sorriso senza aspettarsi nulla, l’affetto spontaneo dei genitori. Per questo, oggi, moltissima gente fa volontariato. Moltissimi “giovani”. “Loro” non ne parlano, è vero. Non gli conviene. Non aspettatevi nulla da “loro”. Ma ci si aspetta molto da voi. Tutto. Fatevi sentire. Un coro vi risponderà.

Daniela Tuscano 407142083_7e3fbe69b7_m.jpg

7 dicembre 2007 at 10:15 6 commenti

MAKWAN NON C’E’ PIU’ – L’ingiustizia rimane

Ciò che, fino all’ultimo, supplicavamo non accadesse, è invece avvenuto: la condanna a morte del 21enne iraniano Makwan Moloudzadeh – “reo” di omosessualità  -, in un primo momento sospesa per la mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale, è stata eseguita ieri, senza che nemmeno i familiari del giovane ne fossero al corrente, e mentre la società civile si preparava a una grande manifestazione in suo favore. Non si è ripetuto, quindi, il miracolo di qualche mese fa, quando riuscimmo a scongiurare il rientro in patria (e la conseguente lapidazione) di Pegah Imambakhsh, anch’essa iraniana, anch’essa omosessuale.
Salviamo Makwan 
Ma Makwan abitava in Iran; come vi abitavano Mahmoud e Ayyaz (rispettivamente, 16 e 18 anni), omonimi, fra l’altro, dei due amanti regali d’un meraviglioso testo del XII secolo, Il Poema celeste. A loro, però, era toccata una sorte ben più efferata – e prosaica: vennero impiccati sulla pubblica piazza. E non si può nemmeno dire che il mondo assistette impotente, dato che la notizia giunse quando ormai tutto si era concluso.

Anche noi umanisti, che da sempre ci battiamo per la giustizia e i diritti delle minoranze soprattutto perseguitate, abbiamo provato un senso di nausea, sconforto, abbattimento. Mentre raccoglievamo firme, inviavamo petizioni a “Sua Eccellenza” Ahmadinejad – quello che, in un’Università americana, aveva assicurato che “l’omosessualità era un vizio dell’Occidente, dal quale il suo paese era indenne”,  dimostrando un insospettato senso dell’umorismo (nero) – e alle autorità politiche e religiose del paese, il corpo del giovane Makwan giaceva già esanime e freddo su un rozzo tavolo di legno.

Abbattuti, sì, e disgustati. Non solo per l’Iran, naturalmente; troppo comodo liquidare la questione con le solite categorie della barbarie levantina. Tutti sappiamo, via, che quella che un tempo fu la Persia merita una classe dirigente migliore dell’attuale. Ahmadinejad è un qualsiasi Mussolini in salsa orientale. Anche per il nostro “crapùn”, peraltro, i finocchi non esistevano, perché il glorioso e rurale popolo italico era scevro dalla corruttela morale delle restanti, molli, plutocratiche nazioni europee. Tutti maschi puri e duri (le donne non venivano neppur prese in considerazione, e non è un caso che, allora come oggi, la violenza viriloide si scatenasse anche contro queste ultime): i “sospetti”, al più, li si spediva al confino, con la vaga e incomprensibile accusa di “disfattismo” (vedi Una giornata particolare).

Disgustati, dicevamo, anzi schifati, schifatissimi, perché già immaginiamo le smorfie sgangherate di certe mummie di casa nostra. Le quali, della sorte di Makwan e di altri come lui non solo se ne fregano, ma in fondo ci godono. Pensiamo ai Volonté, ai Calderoli, ai Mastella, ai Berlusconi, alle Mussolini, agli Storace e alle zitelle in cilicio; in particolare a queste ultime, alla (Ga)Binetti che solo ieri si è rifiutata di ratificare un testo anti-omofobia al Senato, con la motivazione della doppiezza della “lobby gay” la quale, secondo lei, si servirebbe di questo stratagemma per sovvertire la morale. (Di “lobby ebraica” parlava pure Hitler: corsi e ricorsi storici.)

Image hosted by allyoucanupload.com

make.jpg

« prev

make.jpg

next »

1 of 1

Ce la immaginiamo, l’onorevole penitenziagite: cos’hanno da lamentarsi, questi sodomiti? Se non gli piace qui, vadano altrove, dove non si limitano a condannarli a parole, come facciamo noi alfieri della santa normalità! Lì, il male, lo eliminano alla radice! Oddio, una volta andava diversamente, e senza dubbio la pia vergine rimpiange i tempi gloriosi in cui i sodomiti venivano spediti al rogo senza tante storie. Da parte sua, le sta tentando tutte per spostare indietro le lancette della storia (ehh, signora mia, oggi non c’è più religione!…), e bisogna riconoscere che il momento è per lei propizio: con le sue giaculatorie sta tenendo in ginocchio (sui ceci) tutta la maggioranza.

Noi però, forse utopici, forse sognatori, ma, senza falsa modestia, persone serie, disposte ad ascoltare tutti purché non razzisti né discriminatori, attente a riflessioni antropologico-religiose scevre da pregiudizi e approssimazioni, non possiamo demoralizzarci. Non ci è permesso. Appoggiamo pertanto l’iniziativa di gionata che il 13 dicembre p.v. darà vita a una veglia anti-omofobia assieme alle donne e agli uomini della REFO di Firenze, presso il Centro comunitario Valdese. Il Gruppo EveryOne  inoltre, già sostenitore della causa di Makwan, istituirà un premio annuale da donare a chi si contraddistinguerà nella lotta a favore dei diritti umani e contro l’omofobia.

Non dimentichiamo, però, che per evitare altri Makwan le ricorrenze e i premi non bastano. Occorrono ascolto, cultura ed educazione, perché, sulla scorta di De André, in futuro “non ci resti solo la gloria / d’una medaglia alla memoria”.

Daniela Tuscano (vedi anche: https://danielatuscano.wordpress.com/2007/03/12/paola-binetti-mi-risponde/)

”In Iran non ci sono omosessuali come invece qui da voi. In Iran non sono perseguitati, perché non esistono” (Mahmoud Ahmadinejad, discorso alla Columbia University, New York, 24 settembre 2007)

ULTIM’ORA: I TALIBAN IMPICCANO 12ENNE. “Era una spia della Nato”. Così i terroristi afghani hanno “giustificato” la forca per un bambino colpevole di aggirarsi troppo spesso in una zona controllata da soldati americani. Siano essi “sodomiti”, o troppo curiosi, o macchine da guerra, o carne per i pedofili, i ragazzi, a questo mondo di adulti, piacciono moltissimo. Specialmente alla griglia. (9 dicembre 2007)

6 dicembre 2007 at 20:22 15 commenti

Older Posts


Categorie

  • arte e cultura

  • associazione Prometeo

  • Blogroll

  • Bresso, Milano e... dintorni

  • chi trova un amico...

  • dalla parte di lei

  • Daniela e i suoi "doppi"

  • educazione e scuola

  • flora, fauna e... cemento!

  • Italia, Europa, mondo

  • religioni e società

  • semi di speranza

  • strade umaniste

  • Uguali&Diversi

  • voci dal sottosuolo

  • Feeds